di Alessandro Pace
Sul finire della settimana scorsa, dopo le molte e autorevoli critiche ricevute, sembrava che fosse ormai tramontata l’idea di una Convenzione a cui sarebbe spettato il compito di redigere il testo, poi approvato dalle Camere, di una legge di revisione costituzionale relativa contestualmente alla forma di governo, al superamento del bicameralismo, alla riduzione del numero dei parlamentari, ai rapporti Stato-Regioni, alla riforma della giustizia ecc. ecc.
Le perplessità si basavano – e si basano – soprattutto su due punti: 1) la violazione dell’art. 72 comma 4 della Costituzione che prescrive che per le leggi di revisione costituzionale è «sempre adottata» «la procedura normale di esame e di approvazione diretta» da parte delle due Camere; 2) la violazione dell’art. 138 della Costituzione il quale, seppure implicitamente, prescrive sicuramente (l’opinione è ormai condivisa da tutti i più autorevoli costituzionalisti) che le leggi costituzionali debbano avere un contenuto «omogeneo» e «specifico». Infatti, se fosse l’opposto – e cioè se la legge di riforma affrontasse contestualmente problematiche costituzionali disomogenee –, ciò costringerebbe l’elettore, a cui verrà sottoposto per l’approvazione il testo della legge costituzionale, ad esprimersi con un solo “sì” o “no” sulla legge ancorché i problemi siano diversi.
Ciò che, oltre tutto, rende più difficile l’approvazione della legge di riforma, come è comprovato dal rigetto da parte degli elettori, nel 2006, della legge costituzionale proposta dal Governo Berlusconi.
Leggo invece sulla stampa che il ministro Quagliariello «spingerà affinché si presentino due mozioni che impegnano il Governo a creare un Comitato di 20 costituzionalisti e una Convenzione che riunisca le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato. Con la supervisione del Colle, il Comitato elaborerebbe un progetto da presentare al governo che lo trasformerebbe in un testo di legge da far esaminare dalla Convenzione fino all’esame del Parlamento».
Il che sta a significare che il ministro Quagliarello, nonostante le critiche, insiste per la strada sbagliata della Convenzione, ipotizzando a tal fine addirittura un percorso inedito nel quale a 20 costituzionalisti (molti dei quali saranno scelti politicamente) viene conferito il potere di redigere “un” progetto (e dunque un testo unitario relativo a più materie) «sotto la supervisione del Capo dello Stato» (sic!). Il quale, da garante della vigente Costituzione verrebbe trasformato nel responsabile della sua modifica!
Ebbene, se è già di per sé discutibile che a presentare il disegno di legge costituzionale di revisione sia un Governo e non il Parlamento, addirittura eversivo degli equilibri costituzionali è l’idea di coinvolgere il Presidente Napolitano nell’elaborazione della riforma costituzionale. Allo scopo, non troppo nascosto, di favorirne l’approvazione sia da parte dei partiti, sia da parte del popolo giocando sulla indiscutibile popolarità e sulla generale stima che incontra l’attuale Capo dello Stato. Ma se il popolo bocciasse la riforma, il Presidente Napolitano dovrebbe allora dimettersi?
L’incostituzionalità della proposta del ministro Quagliariello non si ferma qui. Infatti, almeno per come è stato enunciato dalla stampa, il deliberato dei 20 costituzionalisti supervisionati dal Presidente, una volta recepito dal Governo e da questo fatto oggetto di un disegno di legge, non verrebbe sottoposto alla discussione e all’approvazione delle due Camere, come vuole l’art. 72 comma 4 della Costituzione. Verrebbe invece sottoposto alla Convenzione – che una settimana fa sembrava ormai tramontata -, composta, questa volta, dalle Commissioni Affari costituzionali della Camera e del Senato, che l’esaminerà «fino all’esame del Parlamento».
Ma quali poteri avrà la Convenzione? Ho il dubbio – ma spero di sbagliarmi – con i poteri redigenti già previsti da Tre dei Quattro saggi nominati dal Presidente della Repubblica (contrario Onida, il più autorevole e il più titolato). Il che significherebbe, in reiterata violazione della Costituzione, che le Camere sarebbero chiamate ad esprimersi, senza possibilità di modifiche, su un testo che è il frutto del lavoro di 20 studiosi, del Presidente della Repubblica e del Governo.
E la chiamiamo ancora, la nostra, una forma di governo parlamentare?!
Pubblicato su La Repubblica del 16/5/2013