Pubblicato su “Europa” il 21.5.13
di Alessandro Pace
Mercoledi prossimo, dinanzi alle Commissioni Affari costituzionali della Camera e del Senato, il ministro delle Riforme on. Quagliariello riferirà sulle modalità con le quali il Governo intende procedere alla revisione costituzionale sulle materie indicate dai così detti Quattro Saggi nella relazione consegnata al Presidente della Repubblica: forma di governo, rapporti Parlamento-governo, bicameralismo paritario, numero dei parlamentari, funzionamento delle Camere, poteri e funzioni delle Regioni, federalismo fiscale, amministrazione della giustizia civile e penale ecc.
Sono state immediatamente rilevate, da costituzionalisti, le gravi perplessità che solleva una legge di revisione costituzionale che attribuisse ad una Commissione composta da studiosi (magari “graditi” alle forze politiche) il compito di indicare le innovazioni costituzionali e ad una Convenzione composta dalle due Commissioni Affari costituzionali il potere di redigere il testo delle modifiche che sarebbe poi approvato dai parlamentari senza possibilità di apportare emendamenti.
Tali perplessità si basano soprattutto su due punti: 1) la violazione dell’art. 72 comma 4 della Costituzione che prescrive che per le leggi di revisione costituzionale è «sempre adottata» «la procedura normale di esame e di approvazione diretta» da parte delle due Camere (è quindi escluso il conferimento del potere redigente alle stesse Commissioni o ad altri organi); 2) la violazione dell’art. 138 della Costituzione il quale, seppure implicitamente, prescrive sicuramente (l’opinione è ormai condivisa da tutti i più autorevoli costituzionalisti) che le leggi costituzionali debbano avere un contenuto «omogeneo» e «specifico». Infatti una legge di riforma che affrontasse contestualmente problematiche costituzionali disomogenee costringerebbe gli elettori ad esprimersi con un solo “sì” o “no” sulla futura eventuale legge costituzionale ancorché i problemi da questa affrontati siano tra loro diversi (si potrebbe, ad esempio, essere d’accordo sull’abolizione del bicameralismo perfetto e sul federalismo fiscale, ma non sulla modifica della forma di governo e sulla modifica delle competenze legislative delle Regioni).
Il fatto che, nonostante queste fondatissime critiche, i Ministri Quagliariello e Franceschini continuino nel loro percorso, fa ritenere che essi evidentemente non avvertono la gravità della violazione costituzionale. Il che è appunto dimostrato dal rilievo dello stesso Ministro Franceschini, riportato dai giornali del 16 maggio, secondo il quale la futura legge costituzionale «modificherebbe i poteri dell’articolo 138». Il che è inesatto.
In una costituzione “rigida” come la nostra la procedura per la revisione costituzionale è infatti solo quella prevista dalla stessa Costituzione. Una legge costituzionale o è conforme all’articolo 138 oppure è difforme. Non esiste un tertium genus.
Né si obietti che, questa volta, la legge costituzionale prevederebbe che essa sia successivamente approvata obbligatoriamente dal popolo. Se – come è sperabile – il procedimento in atto non è “costituente” (avente, come tale, finalità radicalmente contrarie al vigente ordinamento costituzionale), ciò implica che anche la sovranità del popolo dovrà, al riguardo, essere esercitata «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1 comma 2 della Costituzione). Pertanto il popolo non potrà, con la successiva votazione referendaria, eliminare i vizi procedimentali che inficiano la legge costituzionale.
Il senso profondo dell’articolo 1 è infatti il seguente: l’intervento del popolo come non può mettere nel nulla le sentenze della magistratura così non può rendere legittima una legge quand’anche formalmente costituzionale. Sostenere oggi l’intervento del popolo per una vicenda (probabilmente) legittima finirebbe per giustificare un domani un appello al popolo per finalità discutibilissime.
Orbene l’errore dell’on. Franceschini sta proprio nel ritenere che la futura (eventuale) legge costituzionale “modificherebbe” i poteri dell’articolo 138.
Per contro la legge costituzionale in gestazione non mira a “modificare” il procedimento di revisione costituzionale consentendo “istituzionalmente”, per il futuro, agli studiosi, in luogo dei politici (sic!), di escogitare soluzioni costituzionali, alle commissioni parlamentari di redigere il testo delle leggi costituzionali e al popolo di far sentire sempre la sua voce con referendum obbligatori. La legge costituzionale in gestazione pone piuttosto in essere una deroga all’articolo 138. Ma una deroga che spiegherebbe stabili conseguenze per il futuro sulla forma di governo, sul rapporto Parlamento-governo, sul bicameralismo paritario ecc. che altro è se non una surrettizia violazione della Costituzione?!