Attualità delle inchieste di minoranza

23.7.14

ATTUALITA’ DELLE INCHIESTE DI MINORANZA (*)

Alessandro Pace

Compatibilmente con la forma di governo, ogni assemblea parlamentare esercita il potere d’inchiesta su fatti di pubblico interesse. Già nel 1628 Lord Coke, con tutto l’autorità che gli proveniva dall’essere stato il supremo magistrato della monarchia inglese, affermò nelle sue “Istituzioni”, che i Comuni fossero, già allora, «The Grand Inquest of the Nation», locuzione che fu poi ripresa a fondamento delle inchieste condotte soprattutto dalle commissioni senatoriali Congresso degli Stati Uniti.
In Italia, secondo l’articolo 82 della Costituzione, ciascuna Camera, per il tramite di commissioni composte di parlamentari in proporzione della consistenza dei vari gruppi, svolge indagini ed esami con gli stessi poteri istruttori e con gli stessi limiti dell’autorità giudiziaria (ordinaria, amministrativa e contabile). Essendo l’acquisizione di informazioni finalizzata al miglior svolgimento delle funzioni parlamentari legislative e di controllo, il potere d’inchiesta, ancorché esplicitamente previsto in Costituzione, costituisce un potere essenzialmente “strumentale” (e mai fine a sé stesso).
Quanto fin qui osservato è già di per sé sufficiente per prospettare le perplessità che solleva la modifica di tale disposizione costituzionale apportata dal disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi (di seguito d.d.l.), così come licenziato in commissione, secondo il quale il Senato, diversamente dalla Camera, potrebbe disporre inchieste solo su «materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali».
Infatti, delle due l’una: o si sostiene che la funzione legislativa del Senato è essenzialmente limitata a materie di interesse “non generale”, e allora la limitazione del potere d’inchiesta alle materie concernenti le autonomie territoriali sarebbe pleonastica; oppure si sostiene che le specifiche materie previste nell’art. 8 d.d.l. (nelle quali il Senato eserciterebbe la funzione legislativa collettivamente con la Camera) superano gli interessi territoriali delle Regioni e degli enti locali; ma allora, in questo secondo caso, vi sarebbe una limitazione aprioristica del potere d’inchiesta senatoriale, posto che, come accennato poco sopra, il potere d’inchiesta ha natura strumentale per il migliore esercizio delle attribuzioni. Per cui una volta attribuita una competenza materiale ad un’assemblea, è illogico disconoscerle il relativo potere d’inchiesta.

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Una seconda osservazione in tema di inchieste parlamentari, sempre con riferimento al d.d.l. Renzi-Boschi, trae spunto dalla presentazione – da parte dei senatori Casson, Corsini, Chiti ed altri e dei senatori Crimi, Morra, Endrizi e altri – degli emendamenti 20.5 e 20.6 dall’identico tenore. Che è il seguente:
«Ciascuna Camera ha il potere e, se lo richiede un quarto dei suoi componenti, il dovere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse.
«A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La designazione del presidente della commissione compete ai gruppi parlamentari di opposizione nell’ipotesi che l’istituzione della commissione d’inchiesta sia stata richiesta dalla minoranza. La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri istruttori e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria».
Qual è l’importanza di tale innovazione costituzionale?
L’idea che le inchieste parlamentari oltre a poter essere disposte dalla maggioranza, dovrebbero essere istituite se a richiederlo sia una minoranza qualificata la si deve a Max Weber, il quale aveva sottolineato, in un saggio del 1918, che se è la maggioranza parlamentare a proporre e a condurre un’inchiesta, la maggioranza, se può, addirittura se ne astiene oppure la conduce «in modo che non venga accertato ciò che le è sgradito».
L’idea di Weber, che era anche un eminente politico, fu immediatamente recepita nella Costituzione del Reich tedesco (1919) e, alla caduta del nazismo, fu ripresa nella Legge fondamentale della Repubblica federale e nella Costituzione della Repubblica democratica tedesca. La previsione delle inchieste di minoranza è altresì presente nelle Costituzione di vari Länder.
La previsione dell’inchiesta di minoranza, come già detto, non esclude ovviamente che le inchieste parlamentari possano essere disposte dalla maggioranza. Tuttavia una cosa è che sia l’opposizione a chiederne l’istituzione, altra cosa è se a richiederla sia la stessa maggioranza, la cui potenziale insufficienza e ambiguità erano state appunto avvertite da Weber con le parole sopra riportate.
Insufficienza e ambiguità confermate dalla prassi del nostro Parlamento, nella quale si annoverano inchieste parlamentari istituite per rallentare l’accertamento di fatti potenzialmente sfavorevoli alla maggioranza; per assorbire più facilmente critiche altrimenti pregiudizievoli al governo; per recuperare – sul piano delle indagini – la credibilità perduta nel comportamento politico quotidiano. E addirittura, finanche per screditare l’opposizione al fine di far guadagnare consenso al governo, secondo la logica delle “inchieste canaglia”, così definita da Andrea Manzella con riferimento alle inchieste Mitrokhin e Telekom Serbia.
Finora le opposizioni parlamentari sono state in genere sempre favorevoli all’istituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta (a meno che non si tratti, per l’appunto, di “inchieste canaglia”!). Il che è ovvio, perché, nonostante l’oggetto e le finalità dell’inchiesta siano state disposte col favore determinante della maggioranza, potrebbero accidentalmente emergere – nel corso degli esami e delle indagini svolte dalla commissione in contraddittorio – fatti sfavorevoli alla maggioranza. Tuttavia altro è raccogliere… i cocci di un’inchiesta disposta e guidata dalla maggioranza, altra cosa è individuare l’oggetto e le finalità dell’inchiesta, soprattutto, se, nelle inchieste proposte dalla minoranza, il presidente della commissione venisse designato dai gruppi di opposizione, come giustamente previsto da entrambi gli emendamenti sopra indicati.

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Infine un argomento decisivo in favore dell’introduzione, nel nostro ordinamento, dell’inchiesta di minoranza, nel contesto della forma di governo prevista dal d.d.l. Renzi-Boschi, conseguirebbe dall’indiscutibile concentrazione di potere che tale d.d.l., anche alla luce del testo licenziato dalla commissione, prevede in capo alla Camera dei deputati e quindi – grazie al così detto Italicum – alla coalizione al governo e al suo leader. Di qui l’ attualità e l’indiscutibile importanza di tali emendamenti.
Non ho tuttavia difficoltà a credere alla sincerità e alla buona fede del Ministro Boschi allorché, in sede di discussione generale sul d.d.l., ha affermato con veemenza l’inesistenza, nel Governo, della benché minima velleità antidemocratica e autoritaria, che i critici sostengono essere potenzialmente sottesa alla proposta modifica della forma di governo. Ma se le affermazioni del Ministro Boschi rispondono a verità – e al momento non ho ragioni per dubitarne -, la migliore conferma di tali buone intenzioni dovrebbero darcela proprio il Presidente del consiglio dei ministro e il Ministro delle Riforme dichiarando di essere favorevoli all’approvazione dei due emendamenti.
D’altra parte nessuno dubita che la forma di governo prevista dalla Legge fondamentale tedesca garantisca efficienza e governabilità e quindi non vi è alcuna ragione ostativa a tale innovazione nel nostro ordinamento costituzionale. Tanto più che all’ordinamento federale tedesco si è già fatto riferimento dai sostenitori del d.d.l. Renzi-Boschi invocando – ancorché inesattamente – il Bundesrat come modello della riforma del Senato della Repubblica.

(*) L’articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2014 su la Repubblica col titolo Le commissioni d’inchiesta e il ruolo della minoranza. A quel testo sono state introdotte talune modifiche ed aggiunte.