RESOCONTO STENOGRAFICO
Commemorazione solenne, con la presenza del Presidente della Repubblica, del Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
(È presente in tribuna d’onore il Presidente della Repubblica). (Sono altresì presenti la vice presidente della Camera dei deputati onorevole Rosy Bindi e la vice presidente del Senato senatrice Emma Bonino). (ore 16,07).
Renato SCHIFANI, presidente del Senato. (Si leva in piedi e con lui tutta l’Assemblea). Signor Presidente della Repubblica, signora Marianna Scalfaro, onorevoli colleghi, autorità, signore e signori, commemoriamo oggi la figura di Oscar Luigi Scalfaro, Presidente emerito della Repubblica scomparso il 29 gennaio scorso.
In uno dei più memorabili discorsi del suo mandato presidenziale, rivolgendosi ad un’Italia scossa dalle stragi e dagli scandali, Scalfaro indicò la via del coraggio della verità: vent’anni dopo, coraggio e verità sono le chiavi di lettura per ripercorrere il suo autorevole cammino di uomo politico, di credente e di servitore delle Istituzioni.
Nato a Novara il 9 settembre del 1918, da madre piemontese e padre di origine calabrese, amava per questo definirsi «figlio dell’Unità d’Italia».
Iscrittosi giovanissimo alla Gioventù italiana di Azione cattolica, trovò in quella sede – e successivamente presso la Federazione degli universitari cattolici italiani – un ambiente assai favorevole alla maturazione della sua solidissima fede ma anche, come ebbe modo più volte di ricordare, una palestra per la sua rigorosa concezione della laicità delle Istituzioni pubbliche, sulla scorta della riflessione dei grandi pensatori cattolici del periodo – da Sturzo a Maritain – a proposito dell’azione temporale del cristiano in una società pluralista.
Laureatosi in giurisprudenza presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano (in quegli anni fucina di gran parte della futura classe dirigente cattolica, sotto la guida illuminata di padre Agostino Gemelli), entrò in magistratura nel 1943, a soli venticinque anni, trovandosi ad esercitare le funzioni giurisdizionali nei mesi durissimi dell’occupazione nazista del Nord Italia.
Dopo la Liberazione, collaborò, dapprima come consulente giuridico e poi nella veste di pubblico ministero, con le corti straordinarie di assise, istituite per giudicare i reati di collaborazione con le forze militari occupanti.
L’anno successivo lasciò la magistratura per candidarsi alle elezioni per l’Assemblea costituente, nelle liste della Democrazia Cristiana, ma l’esperienza di magistrato, sebbene molto breve, segnò tutta la sua lunga esistenza, al punto che egli ribadì più volte di sentire la toga «cucita sulla pelle».
In seno all’Assemblea, spese quindi le sue energie di giovane giurista, in particolare nella redazione degli articoli relativi alla organizzazione ed alle garanzie della magistratura; ma la sua profonda sensibilità umana e politica portò il suo contributo ben oltre le valutazioni tecniche proprie dell’uomo di legge.
Così, quando l’Assemblea si trovò ad esaminare il disegno di legge del Governo sulla repressione delle attività fasciste, Scalfaro svolse un appassionato intervento in difesa di un approccio equilibrato al contrasto dei delitti politici, che alla necessità di tutelare le giovani Istituzioni democratiche affiancasse la consapevolezza della inopportunità di ogni eccesso repressivo, in particolare in relazione al ricorso alla pena di morte.
Nel ricordare la propria recente, dilaniante esperienza di magistrato nei tribunali straordinari, il giovanissimo Costituente giunse a riconoscere con chiarezza il «diritto» all’ostilità nei confronti dei poteri costituiti da parte dei familiari di chi cade, seppur legittimamente, vittima di una sentenza capitale: parole che evocano, implicitamente, il contrasto sofocleo fra nomos ed ethos, fra la legge del sangue e quella della città, espressa dalla tragica vicenda di Antigone.
L’esperienza dell’Assemblea costituente fu con costanza evocata nel prosieguo dello straordinario cursus honorum di Oscar Luigi Scalfaro, alimentando una quotidiana, tenace azione di difesa della lettera e dello spirito della Costituzione in ogni ruolo istituzionale via via esercitato, fino al vertice delle Istituzioni repubblicane.
Confermato dal corpo elettorale nell’ufficio di deputato per undici legislature consecutive, più volte sottosegretario di Stato nella seconda e nella terza legislatura, fu nominato per la prima volta Ministro, al Dicastero dei trasporti, nel 1966, in occasione della formazione del terzo Governo Moro, incarico che conserverà anche in tutte le successive compagini ministeriali fino al 1972.
Nella sesta legislatura fu nominato Ministro della pubblica istruzione nel secondo Governo guidato da Giulio Andreotti, fino al luglio del 1973.
Esauritasi quell’esperienza di Governo, fu eletto Vice Presidente della Camera dei deputati, ruolo nel quale sarà confermato anche nelle due legislature successive, fino al 1983.
Per tutta la durata della nona legislatura, dal 1983 al 1987, Oscar Luigi Scalfaro fu chiamato a ricoprire il delicatissimo incarico di Ministro dell’interno nei due Governi guidati da Bettino Craxi e nel sesto Governo Fanfani: in questa veste offrì un contributo decisivo ad una stagione di storici successi nella lotta alla criminalità organizzata, assicurando il massimo supporto logistico ed investigativo all’attività istruttoria coordinata da Giovanni Falcone ed assicurando, nell’ambito delle proprie competenze, uno sforzo senza precedenti delle Autorità statali nella realizzazione e nella protezione dell’aula bunker di Palermo che ospitò, a partire dal 1986, il primo maxiprocesso contro la mafia.
L’esperienza e l’autorevolezza conseguite al vertice dell’Amministrazione dell’interno furono determinanti nella successiva decima legislatura, quando Scalfaro presiedette, con grande rigore e sensibilità istituzionale, la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori della Basilicata e della Campania colpiti dai terremoti del
novembre 1980 e del febbraio 1981.
Nei quarantasei anni di ininterrotta appartenenza, per volontà degli elettori, alla Camera dei deputati, Oscar Luigi Scalfaro manifestò costantemente una ferrea convinzione della centralità istituzionale del Parlamento, in virtù del suo insostituibile ruolo democratico di «legittimo depositario della sovranità popolare, per libera delega del popolo italiano».
Questo convincimento, che emergeva in ogni suo atto (anche nell’esercizio dei diversi, importanti incarichi di Governo ricoperti), lo portò ad ingaggiare appassionate battaglie in difesa del Parlamento, come testimoniato ad esempio dai disegni di legge costituzionale da lui a più riprese presentati al fine di valorizzare il ruolo delle Assemblee in occasione delle crisi di Governo.
La sua profonda deferenza nei confronti dell’Istituzione parlamentare trovò ampia voce quando, nella primavera del 1992, dopo essere stato eletto da appena un mese Presidente della Camera dei deputati, fu chiamato – in uno dei momenti più drammatici della storia della nostra Repubblica – all’alto incarico di Capo dello Stato.
Nel suo discorso di insediamento, che egli stesso definì un «atto di devozione al Parlamento», dichiarò apertamente il suo profondo amore per questa Istituzione, considerata «il legittimo, doveroso, unico destinatario del dialogo» con il Presidente della Repubblica.
Suonano, oggi, particolarmente attuali le parole pronunziate da Scalfaro nel discorso che concludeva il suo primo anno da Presidente della Repubblica, nel 1992:
«Occorre che il peso fiscale sia equamente distribuito, ma soprattutto occorre che ogni sperpero venga eliminato, che ogni spesa sia riveduta e che chi froda il fisco sia trattato come chi tradisce il proprio Paese».
Il suo mandato al vertice delle Istituzioni repubblicane coincise con una stagione particolarmente travagliata della nostra storia recente, con il durissimo attacco sferrato dalla mafia allo Stato, attraverso una sanguinosa catena di stragi; una preoccupante crisi economica, che rischiò di allontanare l’Italia dall’integrazione monetaria europea; la trasformazione epocale del sistema politico, con i tradizionali soggetti politici scossi dalla questione morale e dalle inchieste giudiziarie, e la crescente pressione dell’opinione pubblica, che trovò espressione, fra l’altro, nel
referendum elettorale del 1993.
La complessità della sua azione, in un contesto politico in rapidissimo mutamento, trovò il pieno riconoscimento del suo successore, il Presidente Ciampi, che definì Scalfaro, nel suo discorso d’insediamento, il «Presidente dei tempi difficili».
Divenuto senatore di diritto, in qualità di Presidente emerito della Repubblica, entrò a far parte della nostra Assemblea: da questi banchi proseguì il suo magistero istituzionale e morale, rivolgendosi in particolare alle giovani generazioni nella sua appassionata battaglia per la difesa della Costituzione ed in favore di un sempre più deciso avanzamento nel processo d’integrazione europea.
Nell’aprile 2006, al principio della quindicesima legislatura, presiedette la nostra Assemblea come senatore più anziano: in quell’occasione richiamò la sua esperienza nell’Assemblea Costituente, a pochi mesi dal sessantesimo anniversario dalla sua elezione, ed esortò tutti i parlamentari a proseguire nel «solenne impegno di servire con fedeltà e onore la nostra Repubblica».
Sono certo, colleghi, di esprimere i vostri sentimenti concordi nel rivolgere all’amatissima figlia Marianna, che ci onora della sua presenza, il commosso saluto del Senato.
Siamo orgogliosi di aver condiviso la nostra condizione di rappresentanti del popolo italiano con chi, come Oscar Luigi Scalfaro, ha voluto fare del coraggio della verità la sua bandiera, vivendo e testimoniando «sino in fondo» la sua vocazione di cristiano, di politico, di uomo di Stato.
Facciamo nostra, allora, quella certezza che fu, in qualche modo, il filo rosso del suo rivolgersi agli italiani durante gli anni della sua presidenza: «L’Italia risorgerà».
L’Italia risorge ogni giorno nell’azione dei suoi uomini migliori, e Scalfaro lo fu. (Generali applausi). (Applausi dall’emiciclo e dalle Autorità presenti in tribuna all’indirizzo della signora Marianna Scalfaro).
Ha chiesto di parlare il senatore Pistorio. Ne ha facoltà.
Giovanni PISTORIO (Misto-MPA-AS). Signor Presidente della Repubblica, signor Presidente del Senato, colleghi, non voglio ricordare il presidente Scalfaro con toni agiografici, tacendo gli aspetti più difficili del suo percorso politico o smussando la sua personalità, alle volte anche un po’ spigolosa, al solo scopo celebrativo. Voglio invece ricordare un politico che è stato un pilastro della nostra Repubblica attraverso i caratteri fondamentali della sua persona: la coerenza, il rigore e l’intransigenza etica, in ambito sia pubblico che privato. Parole che oggi possono forse suonare un po’ desuete, ma che invece costituiscono la base imprescindibile e irrinunciabile su cui lo Stato deve poggiare: senza coerenza, non può esistere credibilità; senza rigore, non si superano le fasi più difficili; senza etica, la ragione stessa della cosa pubblica viene meno.
Oscar Luigi Scalfaro è stato dunque un attore importante nella storia della nostra Repubblica. La sua vita è stata interamente dedicata alle istituzioni, servendole prima da giovane magistrato, poi da parlamentare, presente fin dall’Assemblea costituente, quindi da uomo di governo, fino all’alto ruolo di Presidente della Camera e, infine, della Repubblica all’indomani della strage di Capaci e nel tempo difficile di Tangentopoli, che ha determinato una profonda trasformazione politica nel nostro Paese.
Di quella stagione così complicata e senza alcuno sconto di critiche, il presidente Scalfaro è stato indiscusso protagonista, assumendo il fondamentale ruolo di garante pieno della legalità costituzionale, assicurando infatti, da un canto, la piena autonomia della magistratura – anche in ragione della sua originaria formazione – e, dall’altro, la tenuta sostanziale e formale della Carta repubblicana che centra il suo equilibrio sulla democrazia parlamentare.
Per il presidente Scalfaro quella Carta non fu e non è mai stata un compromesso fra opposte ideologie, piuttosto – come ebbe a dire un altro grande protagonista del pensiero cattolico-democratico, Benigno Zaccagnini – «un punto di unità nazionale su cui ritrovare il principio di legittimità, che costituisce il fondamento dell’unità e dell’autorità dello Stato e delle istituzioni democratiche e pluralistiche, capaci di raccogliere, senza discriminazione o distinzione alcuna, tutti i cittadini che vedono nelle leggi della Repubblica e nella loro corretta applicazione il massimo presidio delle loro libertà».
Egli oppose dunque strenua resistenza alle suggestioni di chi in quel tempo riteneva la Costituzione formale sopravanzata da quella materiale evocando una sorta di premierato o presidenzialismo di fatto.
La centralità della funzione parlamentare è stata infatti l’elemento essenziale della sua azione politica, che lo vide impegnato dall’abolizione della pena di morte, da giovane deputato, alla Presidenza delle più importanti Commissioni d’inchiesta, quali quella sul fenomeno della mafia e quella sul terremoto dell’lrpinia.
Fu proprio il suo comportamento integerrimo, tenuto durante i lavori di quest’ultima Commissione, a procurargli qualche inimicizia nel suo partito – che era anche il mio, per piccola parte – ma certamente un apprezzamento trasversale che determinò, in seguito, le condizioni per la sua elezione a Presidente della Repubblica, in un drammatico momento di emergenza.
Il suo settennato fu oggetto di stima, ma anche di forte dissenso da parte del mondo politico. Egli reinterpretò il ruolo di Capo dello Stato, rimanendo sempre fedele al dettato costituzionale e guidando la Repubblica, con capacità e determinazione, in uno dei periodi più bui e travagliati, ancora oggi di non facile lettura.
Ma nessuno ha mai messo in discussione la sua coerenza, il suo rigore, la sua dirittura etica.
L’attuale momento storico risulta per molti versi assimilabile a quello degli inizi della presidenza Scalfaro. La grave crisi economica rende ancora più severi i giudizi dei cittadini sulla responsabilità e sulle funzioni della classe politica, che dev’essere capace di riprendere un efficace percorso di trasformazione del sistema istituzionale che nel 1992 fu soltanto annunciato e la cui mancata realizzazione è parte delle ragioni della crisi attuale.
Ora, come allora, possiamo contare, certamente con un consenso maggiore e un apprezzamento quasi unanime, su un riferimento certo: lei, signor Presidente della Repubblica, custode appassionato dei valori costituzionali, ma anche impegnato con grande forza a incoraggiare gli indispensabili cambiamenti delle istituzioni, in ragione di una sensibilità politica straordinaria.
C’è bisogno di conseguenza di una comunità politica all’altezza che sappia interpretare questa ansia di cambiamento. Occorre rivitalizzare gli istituti della democrazia parlamentare in una chiave di efficienza, moderna e vicina ai cittadini, partendo proprio dalla ricostituzione del rapporto tra eletti ed elettori.
È dunque in quest’ottica che oggi sento e chiedo profondo rispetto per la memoria del presidente Scalfaro: egli è stato un baluardo del rigore etico, un uomo la cui fedeltà alla Costituzione è stata seconda solo alla fede religiosa; un uomo che ha concluso la sua lunga vita nella coerenza della sua fede cattolica, portata sempre con fierezza, anche nella dimensione politica, ma sempre nel pieno rispetto di chi aveva convincimenti diversi e distanti dai suoi ideali.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Viespoli. Ne ha facoltà.
Pasquale VIESPOLI (CN:GS-SI-PID-IB). Signor Presidente della Repubblica, signor Presidente del Senato, signori membri del Governo, colleghi, il profilo tracciato dal presidente Schifani mi induce a svolgere una considerazione sola per ricordare e commemorare Oscar Luigi Scalfaro.
Parto da un presupposto: ci troviamo di fronte ad una figura che ha rappresentato un pezzo importante della storia della Repubblica, e non solo per le cariche che ha rivestito sul terreno istituzionale, ma anche per il fatto di essersi trovato a svolgere ruoli fondamentali in momenti cruciali della vita della Repubblica, in particolare nel 1992. Ricordo quella elezione, la vicenda nazionale, Falcone, la strage di Capaci, con tutto quello che ancora ciò significa nella memoria collettiva del nostro Paese.
Mi ha colpito in particolare un passaggio dell’intervento del presidente Schifani, che mi ha portato a cambiare del tutto la scaletta del mio intervento. Scalfaro è stato – ha sottolineato il presidente Schifani – il presidente degli anni difficili: e non si tratta solo del 1992, ma anche del 1993 e del 1994 – quanto queste date significano dal punto di vista istituzionale! – per arrivare fino al 1998, con i Governi Dini, Ciampi e D’Alema, con tutto quello che significano questi passaggi epocali, per molti aspetti, della vita della Repubblica. Ma quegli anni appaiono ancora più difficili se il ricordo si intreccia con la riflessione sull’attualità. Se noi consideriamo alcuni nodi, scopriamo che ancora non risultano sciolti. Ancora oggi alcuni temi, certe questioni e vicende non risultano chiarite, tant’è che è difficile considerare conclusa la lunga transizione italiana dentro la quale il presidente Scalfaro ha svolto un ruolo ed una funzione fondamentale.
Ancora oggi, a ben riflettere, ritroviamo irrisolto il rapporto e l’equilibrio tra politica e giustizia. Ancora oggi troviamo irrisolto il rapporto tra legittimazione parlamentare e sovranità popolare. Ancora oggi, come in quegli anni, emergono, seppure in misura diversa, fenomeni di antipolitica. C’è la necessità quindi di rilanciare il ruolo e la funzione delle istituzioni, il ruolo e la funzione della politica, il ruolo e la funzione dei partiti.
Nodi non sciolti che ci dicono come sia stata difficile quella fase della storia italiana e come dunque la riflessione sull’azione del presidente Scalfaro debba essere inevitabilmente contestualizzata in quell’epoca, in quella fase, in quel pezzo di storia della Repubblica.
Se posso permettermi una considerazione finale, alla luce delle riflessioni fin qui svolte, credo si possa affermare quanto segue. Scalfaro è stato anche discusso (bisogna uscire dalla ritualità), è stato un elemento di confronto, di discussione ampia, a partire da una considerazione, che non vorrei apparisse provocatoria. In fondo, il presidente Scalfaro è rimasto sostanzialmente, lungo tutta l’arco della sua vita, un autorevole componente dell’Assemblea costituente, con ciò volendo riconoscere la sua strenua difesa della Costituzione, fino a dire che si è trattato del maggior esponente, per molti aspetti, del conservatorismo istituzionale (se si può utilizzare quest’espressione), dalla Presidenza della Repubblica fino al comitato «Salviamo la Costituzione», sorto in occasione del referendum del 2006. Questa riflessione ci induce a riflettere su come invece poteva essere accompagnato il cambiamento istituzionale, l’adeguamento istituzionale, la grande riforma delle istituzioni, temi che ancora oggi ci troviamo ad affrontare perché ancora oggi tutti
abbiamo davanti il problema della grande modernizzazione italiana dal punto di vista istituzionale e politico, una modernizzazione che ancora non riesce a trovare risposte adeguate.
Con tale riflessione e con questo rispetto critico – se posso utilizzare questa espressione – su un uomo che è stato dentro la storia della Repubblica, autorevole rappresentante istituzionale della storia della Repubblica, il nostro Gruppo esprime il cordoglio per la scomparsa di Oscar Luigi Scalfaro e la vicinanza e la solidarietà nei confronti della famiglia. (Applausi dal Gruppo CN:GS-SI-PID-IB e dei senatori Astore, Castro e Colombo. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Pardi. Ne ha facoltà.
Francesco PARDI (IdV). Signor Presidente della Repubblica, signor Presidente del Senato, onorevoli colleghi, membri del Governo, l’occasione solenne che ci vede qui riuniti richiederebbe un affresco, e invece ci dobbiamo accontentare per forza di pochi rapidi tocchi. La vita di Scalfaro testimonia come nella politica si intreccino linee di tendenza profonde e a volte, improvvisamente, scarti imprevedibili, e ci pone anche un problema di prospettiva: come apparirebbe la figura del Presidente scomparso se non fosse diventato Presidente?
Se guardiamo indietro vediamo un uomo all’inizio perplesso di fronte alla stessa idea di entrare in politica, poi saldamente inserito nel contesto del solidarismo cattolico postbellico. Un antifascista, un democratico, un anticomunista, partecipe pienamente dell’atmosfera degasperiana, in quella DC che per un certo tempo fu tentata di svolgere una sorta di ruolo maggioritario nel progetto di garantire, anche da sola, una tendenza moderatamente progressiva. Quanto più progressiva e quanto più moderata è stato oggetto di dibattito acceso e impersonato da persone diverse. Forse si potrebbe dire che allora, da giovane, Scalfaro era più addentro alla dimensione
moderata. Dossetti rappresentava certamente la versione più progressiva. La comunanza di queste due figure mi fa pensare a traiettorie opposte. Mentre Dossetti passa dai doveri della politica alla testimonianza della fede, Scalfaro lascia alla fede la sola dimensione privata e si impegna con sempre maggiore intensità in una politica sempre più pesante.
Giovanissimo Costituente, a 26 anni, Sottosegretario e Ministro più volte, Presidente della Camera, Scalfaro ha sempre testimoniato un profondissimo rispetto per la laicità dello Stato. Poi, a un certo punto, la scarto imprevedibile: l’elezione a Presidente della Repubblica, che nessuno si aspettava. Una polemica animata da molti ha voluto vedere una sorta di metamorfosi: la trasformazione di un uomo di centrodestra in un uomo di centrosinistra. Credo che si tratti di una grossa forzatura, anche in sede di riflessione storiografica: penso che conti molto il peso della responsabilità. L’uomo Scalfaro ne fa una leva politica per impersonare il dovere della massima rappresentanza: non più una parte, ma l’intero Paese. E così, dentro tale logica, le stesse qualità umane dell’esperienza precedente vengono messe al servizio di un compito più alto e difficile; e si potrebbe dire che in questo compito, in fondo, Scalfaro incontra nuovamente Dossetti.
Vorrei ricordare in questa sede l’appello che Dossetti fece nel 1994 quando, di fronte all’ingresso nella politica italiana di quella che è stata chiamata l’anomalia italiana, dal suo rifugio appartato lanciò un allarme fervente sui pericoli che avrebbe potuto correre la Costituzione, nella cui difesa Scalfaro ha esercitato un magistero di massima fermezza. La centralità delle Assemblee elettive, la separazione dei poteri, la difesa precisa e puntuale della magistratura attaccata dalla politica: un magistero di fermezza esercitato anche al termine del settennato presidenziale.
I movimenti della società civile devono a Scalfaro il fatto di essere stati sentiti, apprezzati, capiti e protetti. Scalfaro è stato, in definitiva, l’alfiere principale della grande vittoria popolare nei referendum del 2006, quando una pessima riforma della Costituzione fu battuta da un voto popolare inconfondibile.
Per finire, vorrei ricordare anche il suo lato umano e un certo suo anticonformismo. In un incontro a Firenze del 1° marzo 2003, per affrontare per l’appunto i problemi del pericolo che correva la Costituzione, senza che nessuno glielo chiedesse, all’ultimo momento della discussione volle terminare dicendo di essere contrario all’introduzione del riconoscimento delle radici cristiane nella Carta costituzionale europea, e motivò tale opinione in una maniera anche scherzosa dicendo: vedete, l’uomo è fallibile, molto fallibile, e se noi mettiamo Dio nella Costituzione, quando l’uomo sbaglierà, la colpa potrà essere di Dio.
Onore al Presidente Scalfaro. A lui rivolgiamo un pensiero affettuoso, e lo estendiamo anche alla sua famiglia e, in particolare, a sua figlia Marianna. (Applausi dai Gruppi IdV, PD e UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Milana. Ne ha facoltà.
Riccardo MILANA (Per il Terzo Polo:ApI-FLI). Signor Presidente, colleghi, a nome del Gruppo Per il Terzo Polo desidero esprimere un pensiero commosso nel ricordo del Presidente Oscar Luigi Scalfaro, protagonista indiscusso della scena politica di una parte temporalmente e storicamente significativa del nostro Paese. Il rigore della formazione giuridica e la sensibilità dell’ispirazione cattolica hanno caratterizzato l’uomo, il politico, lo statista Oscar Luigi Scalfaro, dalla sua elezione in seno all’Assemblea costituente agli incarichi di Governo, sino allo scranno più alto della Repubblica italiana.
In quella veste, il Presidente Scalfaro ha rappresentato un punto di riferimento autorevole e di esemplare chiarezza nei lunghi e difficili anni della transizione politica e sociale italiana. Seppe affrontare e leggere nel profondo i segnali della gravissima crisi politica, accompagnata da una preoccupante crisi morale e di fiducia nei confronti delle istituzioni, che decretò la fine della prima Repubblica. Gli articolati intrecci tra politica ed affari misero a dura prova la stabilità del Paese; la
convivenza civile sembrò non essere più garantita, e le lacerazioni politiche di quegli anni acuirono i comuni sentimenti di sfiducia e di indignazione della società civile.
Venne anche la drammatica stagione stragista di mafia, con gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino e quindi gli attentati a Roma, Milano e Firenze.
In quel clima il Presidente Scalfaro, operò, fermo ed in prima persona, per restituire credibilità alle istituzioni e allo Stato, difendendo strenuamente l’idea di democrazia e di unità nazionale, in quegli anni sotto pressione. Il suo mandato assunse il senso di vera missione nella direzione di arginare le composite spinte che, altrimenti, avrebbero minato il concetto di Stato e il senso di appartenenza ad esso.
In questo obiettivo, l’integrità morale del Presidente Scalfaro, la coerenza negli ideali perseguiti e il profondo rispetto verso le istituzioni tutte costituirono la cifra di un’azione specchiata al servizio dello Stato nella sua espressione di tutore e promotore del bene comune.
Uomo di pace, di unità, cattolico fervente, Oscar Luigi Scalfaro non mise mai la sua persona al di sopra e al di fuori della legge; fu un uomo che non pose mai il consenso politico elettorale, del quale godé abbondantemente, al di sopra della Costituzione della Repubblica italiana.
In tutta la sua vita, Scalfaro ha operato nel solco della tradizione degasperiana, che muove dalla laicità della politica per garantire ai singoli il diritto di organizzare pubblicamente i valori della propria fede. E non a caso voglio citare un brano di una lettera che Alcide De Gasperi, pochi giorni prima della sua morte, l’11 agosto 1954, scrisse a Oscar Luigi Scalfaro: “Quello che ci dobbiamo soprattutto trasmettere – diceva De Gasperi – l’uno all’altro è il senso del servizio del prossimo, come ce lo ha indicato il Signore, tradotto ed attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana,
senza menar vanto dell’ispirazione profonda che ci muove e in modo che l’eloquenza dei fatti tradisca la sorgente del nostro umanitarismo e della nostra socialità”.
Quel senso del servizio e quell’eloquenza dei fatti lo resero inviso ad una parte del sistema politico che, più che testimoniare con l’eloquenza dei fatti, menò vanto delle proprie professioni di fede, tradendole poi con i propri comportamenti. Oscar Luigi Scalfaro non tradì mai la propria ispirazione. E per questo, per il modo coerente con il quale difese i valori della Costituzione repubblicana fino all’ultimo giorno della propria vita, merita un posto tra i grandi protagonisti della storia del nostro Paese.(Applausi dai Gruppi Per il Terzo Polo:ApI-FLI e PD).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Colombo. Ne ha facoltà.
Emilio COLOMBO (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI). Signor Presidente della Repubblica, onorevole Presidente del Senato, onorevoli membri del Governo, colleghi, Oscar Luigi Scalfaro è stata una personalità che va legittimamente iscritta fra i Padri della Repubblica per una fedeltà sempre rinnovata e profonda ai valori costituzionali, per la fede radicata nella libertà e nella responsabilità della persona, per la coerenza ai princìpi cristiani, per l’assoluta onestà personale, testimoniata in tutto il corso della sua ricca esperienza politica e istituzionale.
Sento perciò assai viva l’esigenza di sottolineare il valore di una lunga traversata nella storia del nostro Paese, nel travaglio del passaggio fra le fasi che hanno accompagnato la trasformazione della società italiana, l’evolversi dei suoi costumi, il modificarsi delle relazioni politiche e il cambiamento degli scenari, talvolta drammatici, che l’hanno segnata profondamente.
Scalfaro ha sempre incarnato l’idea di un servizio totale al bene della Repubblica, arricchendola di una singolare e preziosa connotazione: ciò che rappresentò un contributo alla ricchezza di una generazione che è stata al centro della vita politica pubblica del nostro Paese.
Per queste ragioni, con un sentimento di sincera partecipazione, intendo condividere i pensieri di gratitudine che il nostro Presidente e tanti colleghi hanno voluto esprimere in occasione della sua scomparsa.
Sono pensieri dettati da una lunga consuetudine di rapporti (giungemmo infatti qui insieme, alla vigilia dell’apertura della Costituente), sempre leali, anche quando diversi: ricordo 50 anni fa quando assumemmo una posizione diversa sulla relazione di Moro a Napoli per l’apertura a sinistra. Ma sono pensieri dettati anche dalla sincera attestazione verso una storia personale e politica che rimane uno dei capitoli più intensi della nostra vicenda nazionale.
A nome dei colleghi che interpreto e che si sono affidati a me per questo, desidero rinnovare il ricordo grato e manifestare il più elevato apprezzamento per una delle figure che hanno illustrato la storia del nostro Paese.
Mi sia anche consentito di rivolgere un pensiero di rispetto e di affetto alla gentile signora Marianna e ai parenti di Oscar Luigi. (Applausi dai Gruppi UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI, PdL, PD, IdV e Per il Terzo Polo:ApI-FLI).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Davico. Ne ha facoltà.
Michelino DAVICO (LNP). Signor Presidente della Repubblica, signor Presidente del Senato, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, da piemontese, a nome del Gruppo della Lega Nord Padania, sono chiamato ad esprimere in quest’Aula, e in particolare, ai familiari, il cordoglio per il più anziano deputato novarese, già membro dell’Assemblea costituente e Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, nato in Piemonte 93 anni fa e mancato lo scorso 29 gennaio a Roma.
Fermo restando il dovuto rispetto per la morte, imposto dalla sensibilità personale come anche dalle radici culturali, umane e cristiane del Movimento che rappresento, devo qui sottolineare che la morte non può sempre – e non deve necessariamente – assumere una funzione catartica, non fosse altro che per la sua ineluttabilità.
E dunque vorrei qui scongiurare il rischio di partecipare alla liturgia di ipocrisie che troppo spesso in simili occasioni, anche nelle massime sedi istituzionali, è stata celebrata ricordando figure politiche complesse e discusse, come certamente è quella di Oscar Luigi Scalfaro.
Oratore di tutto rispetto, unico ad aver ricoperto le tre più alte cariche dello Stato, Scalfaro – grazie a quel misto di cinismo e spirito di abnegazione, che già Aldo Moro ebbe ad attribuire ad altri leader democristiani – fu abilissimo a scalare i vertici della “balena bianca” e delle istituzioni e a farsi eleggere Capo dello Stato in un momento delicatissimo della storia del Paese, all’indomani della strage di Capaci, in una stagione carica di tensione e di colpi traumatici inferti allo Stato.
Senza alcuna volontà di oltraggiare la morte, e pur nell’impegno ad attingere alla humana pietas che deve informare le azioni di ognuno di noi, a maggior ragione di un rappresentante delle istituzioni, ritengo legittimo non tacere – e proprio noi della Lega Nord mai abbiamo in passato taciuto il nostro pensiero in merito – sulle differenze politiche che ci hanno visti fieramente su due diversi fronti, da sempre.
L’uomo politico non fu capace di intravedere quello che il nostro Movimento avrebbe rappresentato per il Paese – e neppure solo per un’area circoscritta di esso – arrivando ad essere un agguerrito e manifesto avversario politico, che considerava la Lega Nord alla stregua di una struttura paramilitare fuorilegge. Non ci riconobbe mai neppure ciò che oggi la storia pure ha verificato: l’aspirazione del nostro Movimento a rappresentare, tra l’altro, quel popolarismo rimasto orfano di ogni altra rappresentanza, come dimostra anche la nostra attuale scelta di severa opposizione, vox clamantis in deserto, ad un Governo nato come mera operazione di Palazzo. Un
ibrido che si ripropone esattamente un ventennio dopo quel monstrum vel prodigium, al quale l’uomo politico che oggi qui ricordiamo non fu estraneo.
Fatte le dovute distinzioni, e cauti nello stabilire parallelismi tra stagioni politiche tra loro pur distanti nel tempo e nelle circostanze, lo stand by in cui questo Parlamento versa ormai da mesi – esso sì, svuotato delle proprie funzioni, se non anestetizzato da un clima di artefatta concordia, che mal si attaglia alle condizioni di reale crisi della società civile e dei lavoratori – è la dimostrazione che non sempre la politica e le istituzioni fanno tesoro dei propri errori. Il compito di ristabilire la verità, dunque, al di là dell’incanto delle ovattate vetrine giornalistiche attuali, resta unicamente consegnato all’intervento ineludibile della storia, così come è stato per il Movimento che qui mi pregio di rappresentare.
Nel corso degli anni, infatti, abbiamo espresso nostri esponenti in ogni sede istituzionale, politica ed amministrativa, dalle giunte locali e territoriali al Parlamento, fino ad assumere importanti responsabilità di governo. Fuor di retorica, abbiamo dimostrato con i fatti l’errore di valutazione commesso dall’allora presidente Scalfaro. Egli non comprese – evidentemente condizionato dalle rigidità imposte dall’alta carica – il processo in atto in quella peculiare circostanza storica. Neppure riuscì a riconoscere – e dunque, di fatto, osteggiò – se non la bontà, la coerenza degli obiettivi, sottovalutando la novità politica che apriva una stagione nuova dopo i fatti
di Tangentopoli, così frenando la legittima aspirazione all’attuazione urgente di quelle riforme di cui il Paese oggi è consapevole di avere bisogno, allo scopo di far evolvere positivamente la sua Costituzione, finalmente, in quella di uno Stato federale. (Applausi dal Gruppo LNP).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Marini. Ne ha facoltà.
Franco MARINI (PD). Signor Presidente della Repubblica, signor Presidente del Senato, colleghi, a nome del Gruppo del Partito Democratico e mio personale esprimo ai familiari del presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che stanno seguendo i nostri lavori, i sentimenti di profondo cordoglio e sincera partecipazione di tutti noi al loro dolore.
L’Italia ha perso un figlio illustre e amato, come ha efficacemente testimoniato la lunghissima e commossa adesione popolare alla camera ardente e alle funzioni religiose, di Roma e della sua Novara.
Altri prima di me hanno ricordato in quest’Aula i tratti salienti della lunga e intensa avventura umana e politica di Scalfaro. Non tornerò su di essi. Consentitemi solo brevemente di rammentare un episodio personale. Scalfaro, la scorsa legislatura, da senatore a vita fu chiamato a presiedere quest’Aula nei giorni non proprio semplici – come sarebbero stati, del resto, quasi tutti, qui al Senato, in quella legislatura – della mia elezione a Presidente di questo ramo del Parlamento.
In quell’occasione, rammento l’affettuoso incoraggiamento che ebbi da lui per l’incarico che andavo ad assumere, avendo immediatamente compreso, da parlamentare esperto qual era, che non sarebbe stato per me, e forse per chiunque altro fosse stato al posto mio, un percorso agevole.
Nel preparare questo breve intervento sono andato a rileggere il messaggio – già citato dal presidente Schifani – che Scalfaro, appena eletto Capo dello Stato, rivolse alle Camere il 28 maggio del 1992. Credo di non sbagliare affermando che, dentro quel discorso, c’è il deposito più prezioso del lascito di Scalfaro a tutti noi e all’Italia intera.
Noi, oggi, attraversiamo una stagione tra le più critiche della nostra storia nazionale, perché i morsi della crisi economica, in associazione con la pressione finanziaria sull’eurozona, stanno richiedendo all’Italia sforzi eccezionali e sacrifici – mi sento di aggiungere – senza precedenti. Pur avendo vissuto altrimenti momenti difficili, questi sono senza precedenti e, con onestà, tutti noi dobbiamo riconoscere che l’uscita dal tunnel è ancora lontana. Non possiamo dire all’Italia che ne stiamo uscendo: sarà dura ancora.
La direzione di marcia però non può che essere quella che in quel discorso Scalfaro enunciò, quando pure la condizione italiana – nel 1992 – era di eccezionale difficoltà. È breve la frase per un discorso breve: «Una è la mira, uno lo scopo: la difesa dei diritti della persona umana» – e qui aggiunge qualcosa di antico, ma che in realtà è fondamentalmente presente nella storia italiana e in quella europea – «a partire da chi è più debole e più indifeso». Quest’affermazione non è contraddittoria con la necessità della modernità e della conoscenza delle ragioni dello sviluppo: è intrinseca a questo, perché altrimenti non c’è interesse generale. Ricordiamoci – e io lo voglio ricordare – che questa è la strada da percorrere: difficile, signori del Governo, lo sappiamo, e per questo esprimiamo molte volte critiche, ma spesso anche il nostro convinto sostegno a questo Governo. Questa – ripeto – è la strada, se vogliamo portare la nostra Nazione fuori dalle secche della crisi, senza che questo sforzo comporti prezzi troppo alti e conseguenze non giustificabili. Ci sono esempi nella storia recente di Paesi che ne sono usciti, ma hanno pagato prezzi assolutamente
insopportabili sul piano dei rapporti generali del Paese.
E alla fine, questa indicazione mi ricorda, cari colleghi, che questo è il compito della politica, anche in un momento così difficile, su cui varrebbe la pena di soffermarsi. La politica, tra l’altro, non può andare in vacanza: non c’è oggi, con il Governo dei tecnici. Insomma, non può, come il negoziante, esporre il cartello “torno subito”. Perché alla fine, sia che si tratti di Governo tecnico che di Governo esplicitamente politico, solo la politica – ci ha ricordato Scalfaro fino agli ultimi
tempi della sua presenza in quest’Assemblea – ha di mira l’intera comunità. Non c’è garanzia al di fuori dalla politica di attenzione all’intera comunità: poi, se sia capace o meno di dare risposte si vedrà, ma la politica si può definire come la voglia e la necessità di cura dell’interesse generale.
Da alcuni giorni, attorno al tema delle riforme, segnatamente di quellaelettorale lo dico con forza: il nostro Parlamento non può andare alle elezioni riproponendo quel modello; ne sono convinto: non è possibile, per noi è per voi tutti si respira un clima che non potrei definire di maggiore ottimismo, perché forse è troppo, ma di consapevolezza reale di questa difficoltà del nostro Paese. Registro questo dato con sincero favore, perché troppo tempo è stato perso e troppo si è atteso per restituire ai cittadini il diritto costituzionale – perché, lo ricordo, è il centro della nostra Carta costituzionale – di scegliere i propri rappresentanti, la libertà di scegliere da chi si viene rappresentati.
Mi è stato domandato anche recentemente da un giornalista se questo processo sarà produttivo. Penso di sì, proprio per l’affermazione che ho fatto, che ci coinvolge tutti nella consapevolezza, a condizione – e qui riprendo un’affermazione di Scalfaro – «che ciascun partito sappia rinunziare a qualche propria utilità per rivolgere pensiero, volontà politica e amore al servizio e al bene comune». Onorevoli colleghi, tra l’altro, questo è il punto da recuperare se vogliamo tentare di uscire, piano piano, dalle difficoltà della politica: compito forte, ma necessario.
Signor Presidente della Repubblica, signor Presidente del Senato, onorevoli colleghi, non posso concludere questo breve intervento senza un riferimento (che, in realtà, è stato già fatto, ma su cui voglio tornare), particolarmente importante per un cattolico come me, come tanti, e credo altrettanto importante per molti. Mi riferisco a quella definizione che anche stasera in quest’Aula è stata ricordata con efficacia (se non erro, dal senatore Pardi), cioè alla “laicità del religiosissimo Scalfaro”. Nella sua vita, questa non è stata una contraddizione.
Scelgo di farlo, come ho fatto finora, affidandomi ancora alle sue parole. Disse Scalfaro: «Io, certo ultimo, esco dalla scuola politica di Sturzo e di De Gasperi, che nella fedeltà alle loro convinzioni religiose, sempre testimoniate con assoluta coerenza, ebbero dello Stato la limpida concezione laica che si esprime nel rispetto assoluto della Costituzione e delle leggi, nel mai straripare dalle proprie competenze e responsabilità, nel mai servirsi dello Stato, ma di saperlo servire, con fedeltà assoluta sempre, nel ricordare che lo Stato è di tutti, veramente di tutti, e nessuno lecitamente può apporgli il marchio della propria parte politica, della propria fede religiosa, dei propri personali convincimenti, perché ogni cittadino deve riconoscersi nello Stato, ha diritto di riconoscersi nello Stato».
Ascoltando queste parole credo (e spero, se le ho sapute tradurre bene) che tutti noi, credenti e non credenti, di uno schieramento o dell’altro, dobbiamo sentirci orgogliosi di avere avuto uomini di questo tipo. Lo ribadisco anche guardando le storie in democrazia. Poi, non può sempre esservi l’unicità di giudizio, come unicità di condivisione di posizioni politiche: c’è sempre, in democrazia, la dialettica. Però io credo che – di uno schieramento o dell’altro – dobbiamo sentirci orgogliosi (almeno questo: che non significa dover accettare tutto) di avere avuto uomini di questo livello
tra i nostri colleghi. (Applausi dal Gruppo PD, PdL, IdV, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE- VN-MRE-PLI-PSI e Per il Terzo Polo:ApI-FLI. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Quagliariello. Ne ha facoltà.
Gaetano QUAGLIARIELLO (PdL). Signor Presidente della Repubblica, signor Presidente del Senato, signori del Governo, colleghi senatori, civiltà vuole che sia possibile commemorare non solo la scomparsa dei propri amici ma anche quella degli avversari e che lo si possa fare con profondo rispetto, ma anche senza ricorrere a formule di maniera.
Non vi è dubbio che nel difficile e controverso settennato di Oscar Luigi Scalfaro la nostra parte abbia visto l’opera di un avversario politico. Un avversario per certi versi inatteso, per chi aveva in precedenza osservato e anche apprezzato alcune tappe salienti del suo lungo percorso nella vicenda politica e nelle istituzioni della Repubblica. La fase del sostanziale contenzioso, insomma, si aprì proprio con l’ascesa del presidente Scalfaro al Quirinale. E la profondità storica che il tempo
trascorso imprime oggi alla lettura retrospettiva di quel periodo consente di capire come la linea di incomprensione e poi di frattura tra l’allora Capo dello Stato e il centro-destra si consumò non solo e non tanto sulle pur determinanti scelte contingenti che quell’arbitro-giocatore si trovò a compiere, quanto sulla lettura di fondo dei mutamenti epocali che in quegli anni cambiarono il volto e l’anima del sistema politico italiano.
Sotto gli occhi vigili e non inerti del Presidente della Repubblica, infatti, l’avvento di una leadership carismatica, quella di Silvio Berlusconi, sulla scena politica, il catalizzarsi di un elettorato moderato e maggioritario verso formazioni inedite e fra loro coalizzate, la nascita di un Polo alternativo alla sinistra e le prime
timide manifestazioni di una sana quanto fragile alternanza fra due schieramenti, segnavano l’avvio di quella rivoluzionaria transizione dalla democrazia dei partiti alla democrazia degli elettori che, dopo la spinta iniziale dei referendum elettorali dei primi anni Novanta, non ha ancora trovato la strada per essere tradotta in una nuova architettura costituzionale dello Stato.
Va detto che al naufragio dei tentativi compiuti in tal senso non è estraneo, né lo fu, l’uso della giustizia che ha gettato una pesante ipoteca sul periodo che oggi ricordiamo in quest’Aula e, purtroppo, anche sugli anni successivi. Ma aggiungo – mi scusi Presidente questo riferimento all’attualità – che alla vigilia del ventennale di quegli avvenimenti epocali, e tanto più in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, potrebbe essere giunto il momento che le forze politiche trovino la giusta spinta per riformare finalmente il sistema.
Chiudo la parentesi e torno a quei mutamenti sostanziali che rivoluzionarono il quadro politico senza che fossero modificate le regole istituzionali che ad esso sovraintendono. Allora chi si trovava sul colle più alto avrebbe potuto interpretare in due modi il proprio mandato: facendosi garante della lettera della Costituzione fino al limite della rigidità formalistica, oppure contemperandone lo spirito e il dettato con i profondi mutamenti intercorsi.
Il centro-destra, che di quei mutamenti fu principale anche se non esclusivo protagonista, non avrebbe potuto vivere senza problematicità la chiara scelta del presidente Scalfaro per la prima opzione. Neppure poté sorprendere, al cospetto di quel formale rigorismo, la durezza di talune reazioni della nostra parte a fronte del protagonismo oggettivamente eccentrico rispetto all’ordinamento costituzionale vigente che caratterizzò sempre più marcatamente quel settennato.
Ciò che va segnalato, semmai, è che proprio gli elementi di più spiccato conservatorismo fecero di Oscar Luigi Scalfaro una icona del centro-sinistra durante e dopo il suo mandato quirinalizio.
Il combinato disposto dei cambiamenti sostanziali che si trovò ad affrontare edell’approccio con il quale il presidente Scalfaro scelse di gestirli ebbe come inevitabile conseguenza il fatto che durante il suo settennato emerse con ineguagliata evidenza l’ambiguità di fondo con cui il nostro vigente sistema istituzionale tratteggia il ruolo del Capo dello Stato. Un’ambiguità che se in quel periodo condusse ad esiti oggettivamente conflittuali, oggi ha consentito di trovare uno sbocco anomalo ed emergenziale all’onda d’urto prodotta sul nostro Paese dalla grave crisi internazionale senza compiere il lacerante strappo di far trovare all’opposizione chi aveva vinto le elezioni e al Governo chi le aveva perse. Questo non per stilare improprie classifiche che avrebbero il solo effetto di creare ancor più impropri imbarazzi, ma per registrare quali profondi mutamenti abbiano investito nel corso dei decenni la figura del Capo dello Stato e ribadire la necessità di aprire un’autentica stagione costituente.
La figura di Oscar Luigi Scalfaro resta comunque impressa nella nostra storia patria come protagonista di una stagione e di una visione delle istituzioni di cui fu paladino, ai nostri occhi fin troppo appassionato. Una visione che anche nella solennità di questo momento non può suscitare il nostro consenso, ma certamente il nostro rispetto e il nostro sincero cordoglio. (Applausi dai Gruppi PdL, PD, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI e del senatore Pistorio).
PRESIDENTE. Ha chiesto infine di parlare il ministro dell’interno, dottoressa Cancellieri.
Anna Maria CANCELLIERI, ministro dell’interno. Signor Presidente dellaRepubblica, signor Presidente del Senato, onorevoli senatori, con pensiero commosso, a nome del Presidente del Consiglio e del Governo tutto, ricordo la figura del presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, uomo di profonde convinzioni democratiche, protagonista autorevole della storia recente del nostro Paese.
Sin dalle sue prime esperienze istituzionali, equilibrio, ma anche impegno e passione, hanno caratterizzato i diversi prestigiosi incarichi che ha svolto, traendo sempre come punto di riferimento il valore del bene comune e la centralità della nostra Costituzione. Come uomo di Governo, ha svolto numerosi ruoli, tra i quali va ricordata l’esperienza da Ministro dell’interno, incarico che rivestì dal 1983 al 1987, visitando le diverse Province italiane e confrontandosi con le prefetture sulle problematiche dei territori, sempre nel segno di un’attenzione ai problemi locali tesa ad esaltare i valori dell’identità e dell’unità nazionale.
Eletto Presidente della Repubblica il 25 maggio 1992, dopo la tragica strage di Capaci, ha gestito con equilibrio e risolutezza una delle fasi più delicate della recente vita democratica del nostro Paese, improntando la sua azione alla tutela delle istituzioni e della dialettica democratica.
Con Oscar Luigi Scalfaro è scomparso uno dei padri nobili della nostra Repubblica, esempio di coerenza e di equilibrio, come testimoniato dal suo essere cattolico fervente ma al tempo stesso strenuo difensore della laicità dello Stato. La sua scomparsa è una perdita per il Paese, ma il suo esempio è un modello di rigore istituzionale non solo per coloro che vivono nelle istituzioni, ma per tutti gli italiani. (Applausi dai Gruppi PdL, PD, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI e Per il Terzo Polo:ApI-FLI).
Renato SCHIFANI, presidente del Senato. Dichiaro conclusa la cerimonia di
commemorazione del compianto Presidente Scalfaro. (ore 17,09).