Salviamo la Costituzione aderisce alla Mobilitazione nazionale per i diritti e la giustizia sociale.
17 ottobre Giornata mondiale per l’eliminazione della povertà.
Sabato 16 ottobre mobilitazione nazionale per i diritti e la giustizia sociale
Documento a cura di Rete dei Numeri Pari – Giuseppe De Marzo e Gaetano Azzariti (presidente di Salviamo la Costituzione)
“Un progresso che non può rigenerarsi, è quello che accetta e ammette un mondo sempre più diseguale. Un progresso che non riesce a rigenerarsi degenera.” Edgard Morin
A un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia l’ISTAT ha registrato un ulteriore aumento delle disuguaglianze e della povertà assoluta nel nostro Paese. La povertà assoluta torna a crescere coinvolgendo la cifra record di 2,6 milioni di famiglie, 5,6 milioni di persone di cui 1,3 milioni di minori. Nel complesso la povertà assoluta colpisce il 9,4% della popolazione – contro il 7,7% del 2019 – raggiungendo così il livello più elevato dal 2005, anno di inizio delle serie storiche. Per quanto riguarda la povertà relativa, invece, è stato registrato un aumento dall’11,4% del 2019 al 13,5% del 2020, coinvolgendo oltre 8 milioni di persone. L’Italia è tra i Paesi con il maggior numero di persone a rischio esclusione sociale in Europa (1 su 3) seguita solo da Lituania, Grecia, Romania e Bulgaria. Allo stesso tempo è il paese dove sono presenti due delle tre Regioni più povere d’Europa: 1° la Sicilia e 3° la Campania, dove 11 milioni di persone non possono più curarsi per motivi economici, dove cresce la povertà educativa, dove le mafie fanno affari per 110 miliardi l’anno, dove corruzione ed evasione fiscale continuano a crescere.
Non è andato tutto bene, come ci è stato raccontato. La crudele pedagogia del virus ci ha mostrato come a essere maggiormente colpiti dalla pandemia siano state le donne, i lavoratori precari, gli irregolari, gli autonomi, i lavoratori di strada, le persone senza dimora, i residenti nelle periferie delle grandi città, i disabili, gli anziani, gli immigrati. Mentre qualcuno dalla pandemia ha tratto un enorme vantaggio e continua a farlo anche utilizzando soldi pubblici, come nel caso del PNRR.
In molti nel Paese avevamo denunciato che in assenza di misure adeguate a fronteggiare la crisi sanitaria, nel giro di pochi mesi ci saremmo trovati a vivere in Paese ancora più povero, diseguale, fragile, precario, stanco e indebolito, in cui la criminalità organizzata, l’individualismo proprietario e le destre razziste e xenofobe avrebbero finito per sfruttare il malcontento e la miseria prodotta dalla pandemia. Un Paese nel quale la ricchezza c’è, a differenza di quello che ci hanno raccontato, e si è concentrata nelle mani di pochi. Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, con i ceti medi che scompaiono. Solo lo scorso anno i 36 miliardari italiani hanno aumentato la loro ricchezza di altri 45,6 miliardi di euro secondo Oxfam. Un furto di diritti e di democrazia che non possiamo accettare.
È in situazioni eccezionali, come quelle della pandemia, che si conoscono meglio le qualità delle nostre istituzioni. Purtroppo, nel nostro Paese i dati pubblicati dall’ISTAT denunciano un quadro in cui la politica non ha saputo (o voluto) intervenire per rispondere ai problemi emersi con l’aumento senza precedenti delle disuguaglianze, amplificati ed esplosi attraverso l’emergenza Covid. Niente è stato fatto per sradicare le cause della povertà e delle disuguaglianze nel nostro Paese, né per neutralizzare il ricatto delle mafie sui territori e l’aumento senza precedenti della corruzione.
Stiamo pagando sulla nostra pelle una crisi iniziata già molto tempo fa. Una crisi di sistema e di struttura della governance. Una crisi che si è allargata nel 2008 a causa delle politiche di austerità attuate in Europa, che hanno prodotto tagli al sociale, al lavoro, alla ricerca e all’istruzione. Su questa struttura sociale, culturale e produttiva già fortemente fragile e indebolita è arrivata la pandemia, allargando ulteriormente la distribuzione iniqua della ricchezza e delle opportunità, minando nel profondo la nostra democrazia.
L’aumento senza precedenti delle disuguaglianze e della povertà rappresentano il pericolo più grave per la nostra democrazia. Rappresentano il tradimento della nostra Costituzione. La povertà è un crimine di civiltà e deve essere considerata inaccettabile per una società che ha come suo principale compito la difesa “dell’intangibilità della dignità umana”. Oggi invece non è più così e la politica considera evidentemente “accettabile” questa situazione, visto che non rappresenta la priorità dell’azione politica di nessun governo e parlamento negli ultimi 12 anni.
L’aumento delle disuguaglianze in questi anni ha rappresentato per le mafie il miglior propellente possibile per ampliare la zona grigia ed estendere il loro controllo sociale e culturale su quella parte di società colpita da 12 anni di crisi. In questi anni l’accumulazione originaria mafiosa è mutata. Così come il loro modo di agire nelle periferie, dove è cresciuto a dismisura il welfare sostitutivo mafioso. Dove crescono povertà, precarietà lavorativa, dispersione scolastica, deprivazione materiale, crescono le mafie. Dove vengono tagliati i servizi, privatizzati i beni comuni, costruite campagne d’odio e razzismo che spostano sui più deboli le cause delle crisi, crescono la zona grigia e il razzismo. Tutte le volte che siamo davanti a una ingiustizia sociale e ambientale, quando mancano le risposte delle istituzioni e le comunità capaci di educare, è lì che crescono e prosperano le opportunità per le mafie.
L’accumulazione originaria mafiosa favorita dall’aumento delle disuguaglianze e della povertà e dall’assenza di risposte efficaci delle istituzioni, ha allargato lo spazio della “zona grigia” a nuovi soggetti, non solo colletti bianchi e borghesia mafiosa. È l’assenza di risposte alla crisi strutturale che, allargando la forbice delle disuguaglianze, induce una parte di società a volersi mettere in salvo da sola, usando qualsiasi maniera possibile, a discapito di regole e di civile convivenza. Il quadro culturale e sociale nel nostro paese è drammatico. Non solo perché l’Istat denuncia una situazione di impoverimento mai conosciuta prima nella storia del paese, ma perché viviamo un ritardo culturale più grave rispetto ad altri paesi europei. Un ritardo culturale che favorisce mafie, razzismo ed estrema destra, sempre pronte a scaricare sui più deboli le responsabilità della crisi prodotta dai più forti. Uno scivolamento in basso figlio della povertà culturale e relazionale, prima ancora che economica. A cui partecipa e contribuisce in larga parte una politica asfittica, sterile e priva di un pensiero capace di costruire alternative praticabili. Una politica incapace allo stesso tempo di sostenere persino quanto di buono nel Paese c’è e continua a esserci, nonostante tutto, perché non in grado di riconoscerlo o addirittura perché ritenuto una minaccia alle vecchie rendite di posizione politica.
Lo spazio delle periferie non solo urbane, ma anche sociali e culturali che spesso tagliano trasversalmente i territori materiali e immateriali delle città grandi, medie e piccole rappresenta il perimetro in cui, a causa dell’assenza della politica e delle istituzioni, per la presenza delle mafie e con l’aggravante della pandemia, si manifestano con maggiore drammaticità le diseguaglianze e la sistematica lesione dei diritti costituzionali.
Oggi in Italia il lavoro è sempre più precario e con lo sblocco dei licenziamenti assisteremo a uno squarcio del tessuto sociale e lavorativo senza precedenti; il nostro sistema di protezione sociale è inadeguato e sottofinanziato, mentre continua a scaricare tutto il peso del lavoro di cura sulle donne (come denunciato dall’ex presidente Giovanni Alleva in Parlamento già nel 2017); le misure di sostegno al reddito sono ancora parziali e lontane dai “social pillar” europei che garantiscono a tutte le cittadine e i cittadini reddito minimo garantito, diritto all’abitare e servizi sociali di qualità; le ingiustizie sociali, ambientali ed ecologiche continuano a crescere e a peggiorare le condizioni materiali ed esistenziali di milioni di persone; la democrazia è sempre più debole.
Purtroppo – nonostante decine di migliaia di morti, l’aumento delle disuguaglianze e delle povertà – il PNRR rappresenta un’enorme occasione mancata, difende gli interessi dello stesso modello responsabile della crisi, non promuove né equità sociale e né sostenibilità ambientale.
Per sconfiggere le disuguaglianze e far ripartire davvero il Paese, rimettendo insieme il diritto al lavoro con il diritto alla salute, orientando la base produttiva e il mercato verso la sostenibilità ambientale, consentendo la partecipazione dei cittadini e delle cittadine allo sviluppo del paese e della democrazia, abbiamo bisogno di: introdurre un sistema di sostegno al reddito meno condizionante, studiando le esperienze in giro per il mondo sul reddito di base; di politiche sociali che mettano al centro il metodo della co-progettazione e co-programmazione come indicato nella sentenza 131 della Corte Costituzionale, contribuendo a rigenerare il welfare municipale; di investimenti strutturali e non emergenziali sul diritto all’abitare che garantiscano alle centinaia di migliaia di famiglie in emergenza abitativa una casa di qualità, sostenibile in termini energetici; di investimenti per potenziare il diritto allo studio, contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa; di utilizzare i fondi stanziati dal NGEU per promuovere la riconversione ecologica, non la transizione, in maniera pianificata, inclusiva, equa e partecipata, socializzando le infrastrutture strategiche tra paesi e municipi, utilizzando come leve per portarla avanti investimenti pubblici, lavoro di cittadinanza e attività di riproduzione socio-ecologica.
L’aumento delle disuguaglianze e della povertà, che nel nostro Paese colpisce decine di milioni di persone, insieme all’aumento del numero dei miliardari e della loro ricchezza, indebolisce nel profondo la nostra democrazia e le nostre comunità. Un quadro peggiorato da una strutturale incapacità all’ascolto della politica, Governo su tutti. Sembra che nel nostro Paese la politica sia solo affare per pochi, costruita nei palazzi, sui principali canali televisivi, nei dibattiti social e in contesti completamente sganciati dalla realtà che vive la stragrande maggioranza della popolazione che vive nel nostro Paese. Manca il confronto, la partecipazione e l’ascolto dei corpi sociali intermedi, delle associazioni e delle reti sociali. Chi governa vede nella partecipazione dei cittadini e delle cittadine una seccatura, spesso un intoppo sulla via delle semplificazioni, del business e del libero mercato. Per questo non stupisce che il presidente Draghi, in merito ai fondi del Next Generation EU destinati all’Italia, non abbia nemmeno rispettato l’art.3 previsto dal Codice del Partenariato Europeo che impone ai governi di co-programmare e co-progettare con le reti sociali presenti sui territori la parte dei progetti relativa all’equità sociale. Non solo le reti sociali, le associazioni e i movimenti non sono stati coinvolti, ma anche quando hanno chiesto al governo un incontro è stato risposto che non c’era tempo per loro. Eppure, sono quegli stessi soggetti sociali che durante la pandemia hanno tenuto in piedi il paese, attraverso forme di mutualismo, cooperazione e solidarietà che hanno risposto ai bisogni materiali ed esistenziali di milioni di persone alle quali la politica non ha saputo dare risposte. Non stupiscono dunque le denunce e gli allerta provenuti da più parti sui pericoli che i fondi del PNRR finiscano per favorire la criminalità organizzata. Del resto, quando si preferisce imporre dall’alto un progetto sul territorio, bypassando i soggetti che operano sul campo e che hanno conoscenze e competenze specifiche, non solo si frustra la partecipazione democratica ma si finisce per rafforzare i più forti, sbagliando spesso i progetti, sprecando denaro pubblico. Il verticismo e le scelte di Draghi hanno reso opachi i processi, le scelte e i progetti del PNRR, allontanando le cittadine e i cittadini dai percorsi di partecipazione, creando le condizioni che facilitano le infiltrazioni mafiose.
Nessun@ ce la fa da sol@, e nessuno è in grado di leggere da solo la realtà. Abbiamo bisogno di condivisione, cooperazione e solidarietà tra tutti e tutte se vogliamo uscire dalle molteplici crisi che stiamo attraversando. Abbiamo bisogno dell’intelligenza e delle passioni di tutti e tutte, perché siamo in un momento molto complicato in cui insistono più crisi contemporaneamente. Il covid19 sembra aver accelerato questo processo, in cui tutti i nodi stanno venendo al pettine.
“Un progresso che non può rigenerarsi, è quello che accetta e ammette un mondo sempre più diseguale. Un progresso che non riesce a rigenerarsi degenera”. È su questi evidenti limiti culturali dell’attuale fase politica le nostre aspirazioni, i nostri sogni, le nostre passioni si infrangono. Non possiamo più far finta di niente, né aspettarci che la politica cambi senza un nostro maggior impegno e coinvolgimento. Siamo evidentemente chiamati a un ruolo diverso dal passato. Dobbiamo ripensare modalità, pratiche, meccanismi deliberativi, relazioni. Solo se capiremo che ciò che facciamo alla Terra facciamo a noi stessi saremo capaci di uscire dalla crisi causata dall’insostenibilità del modello economico e culturale. Solo attraverso una visione d’insieme capace di avere un approccio sistemico alle diverse crisi ci consentirà di affrontare meglio il nostro impegno contro le mafie, per la giustizia sociale. Perché anche la lotta per la giustizia sociale e ambientale, contre le disuguaglianze, le mafie e la corruzione non è sganciata dall’intreccio delle problematiche di cui parliamo. Anche noi siamo chiamati a ripensare le nostre azioni all’interno di una ricomposizione di nuove alleanze e di nuove consapevolezze. Le nostre azioni devono essere conseguenza di un approccio culturale e di una “prassi” che sia conseguente e coerente con la visione di cui siamo portatori. Solo così renderemo più forte, efficace e coerente il nostro impegno, dando un contributo essenziale al paese e alla politica per ricomporre un pensiero “integrale” capace di sfidare e vincere la sterilità del “pensiero unico”.