Pubblicato su “la Repubblica” del 25.5.13 col titolo “L’argine della Costituzione”
di Alessandro Pace
Dell’audizione di mercoledì scorso tenuta dal Ministro per le Riforme istituzionali, Gaetano Quagliariello, davanti alle Commissioni Affari costituzionali riunite, deve apprezzarsi la netta affermazione, secondo la quale «non è oggi in discussione il valore della Costituzione italiana; nessuno immagina di lavorare per adottarne una nuova e diversa, nessuno ne mette in discussione i principi fondamentali o la prima parte relativa ai diritti e doveri dei cittadini». La precisazione è importante. Nella passata legislatura l’opinione dei leader del suo partito era infatti del tutto opposta.
Altrettanto apprezzabile, quanto al metodo delle riforme, è che il Ministro abbia condiviso la tesi che «la legge o le diverse leggi di revisione costituzionale approvate dal Parlamento vengano sottoposte a uno o più referendum confermativi popolari – (…) – a prescindere dalla maggioranza ottenuta in sede parlamentare». I cittadini non saranno quindi costretti con un solo sì o no ad approvare un’unica legge costituzionale disomogenea, in violazione della loro libertà di voto. Il Ministro aggiunge però, cripticamente, tra i due trattini: «con quesiti distinti per materia». Il che potrebbe far pensare che Quagliariello ipotizzi anche una pluralità di referendum d’indirizzo, sconosciuti alla Costituzione, che solleverebbero non pochi problemi.
Pur esprimendo delle perplessità a proposito dell’iter originariamente prefigurato per le riforme, Quagliariello non sembra poi aver ancora abbandonato l’idea della legge di revisione costituzionale sui generis. Eppure, dovrebbe essere intuitivo ad un uomo di cultura che se la Costituzione detta certe regole per la sua modifica, la revisione che segua un procedimento diverso non ha “legittimazione costituzionale”. Né questa potrebbe essere recuperata con un referendum obbligatorio che sani i vizi procedurali. Il popolo, in tanto esercita la sua sovranità, in quanto (e solo se) la eserciti «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1 comma 2 della Costituzione).
Il Ministro ha inoltre sottolineato che il percorso per le riforme dovrebbe essere quello che valorizzi «le componenti della democrazia rappresentativa, della democrazia diretta e della partecipazione popolare, coinvolgendo nel processo di riforma le migliori energie e risorse politiche, istituzionali, sociali e culturali del Paese». Ma in questi termini il percorso è proprio quello indicato dall’articolo 138! Il quale valorizza appieno la democrazia rappresentativa prescrivendo che le leggi costituzionali debbano essere approvate da Camera e Senato, non già attribuendo il potere redigente ad una Convenzione ad hoc! Quanto al coinvolgimento nel processo di riforma delle «migliori energie e risorse politiche, istituzionali, sociali e culturali del Paese» il sistema dell’audizione, di volta in volta, dei più “esperti”, è certamente più corretto dell’ipotesi di un Comitato composto da un numero chiuso di costituzionalisti, vicini ai partiti.
Un paio di osservazioni sul merito delle riforme. Innanzitutto non mi convince la netta affermazione secondo cui è illogico scegliere «un sistema di voto senza sapere se la meta del percorso sarà Parigi, Londra o Berlino». In primo luogo, non è detto che il sistema uninominale a doppio turno sia funzionale solo al semipresidenzialismo. In secondo luogo, la forma di governo vigente in Gran Bretagna, Germania e Spagna, pur essendo parlamentare come quella italiana, presenta sistemi elettorali diversi: rispettivamente, il sistema elettorale uninominale maggioritario ad un turno, il sistema proporzionale personalizzato e il sistema proporzionale non maggioritario con piccoli collegi.
Non sono però aprioristicamente contrario a qualsiasi modifica della Costituzione, anche se ritengo che la crisi attuale stia nei partiti e nella politica, e non nelle istituzioni. Per fare un esempio, concordo con lui sulla riduzione del numero dei parlamentari e sul superamento del bicameralismo perfetto. Ciò non di meno, essendo i “Diritti e i doveri dei cittadini” condizionati dalla struttura e dalle funzioni degli organi disciplinati nella successiva parte dedicata all’“Ordinamento della Repubblica”, deve essere avvertito che le riforme della seconda parte potrebbero incidere indirettamente sui diritti della prima parte, pregiudicando quindi anche il contenuto delle “garanzie”. Per tale ragione qualora la sola Camera restasse titolare della potestà legislativa occorrerebbe introdurre la possibilità della minoranza parlamentare di adire la Corte costituzionale. Inoltre, tra le modifiche della forma di governo, sarebbe da escludere il semipresidenzialismo in quanto il Presidente della Repubblica perderebbe quella essenziale funzione di garanzia che lo contraddistingue nel nostro ordinamento. Lasciare sola la Corte costituzionale è un po’ poco.